Il termine "mediazione" presuppone la presenza di due o più parti in contrasto tra loro per idee, opinioni o comportamenti…
E, contemporaneamente, l’inserimento in questa dinamica di qualcuno che possegga adeguate doti comunicative ed empatiche in grado di far raggiungere un compromesso tra le parti e soddisfacenti obiettivi comuni. Un lavoraccio, in effetti.
Pensiamo alla mediazione familiare: in questo caso un professionista deve arrivare a trovare ad un accordo che regoli la separazione di due parti -i membri di una coppia appunto- ferite, arrabbiate, deluse, spesso con desiderio di rivalsa l’uno sull’altro in proporzione alla sofferenza sentita in anni di relazione disfunzionale. Ovviamente, per trovare un accordo tra parti discordanti, è necessario che almeno uno o entrambi rinunci a qualcosa di importante, come ad esempio al proprio dolore e alla propria rabbia, due emozioni predominanti nel processo separativo che, se non trovano un adeguato spazio di ascolto, rischiano di compromettere tutto il lavoro di mediazione.
Anche i neo genitori devono confrontarsi fin da subito con le proprie doti e abilità mediatorie.
Non pensiamoli però solo alle prese con le dinamiche conflittuali tra fratelli/pari in cui vengono chiamati a mo’ di arbitri a decidere delle sorti di giochi e litigi; osserviamo i loro comportamenti anche a livello intergenerazionale che sono più complessi e -personalmente- più interessanti.
Il nuovo nucleo famigliare, sancito dalla nascita di un figlio, si inserisce in un ciclo di vita eterno, che andrà avanti nei secoli, e che sarà sempre caratterizzato dalla mediazione tra il nuovo e il vecchio, tra l’appartenenza e la separazione, pilastri fondamentali alla base della costruzione dell’identità in generale.
La nuova coppia genitoriale avrà quindi l’arduo compito di ri-definire se stessa e i propri confini (sia individuali che di coppia) mediando contemporaneamente tra il senso di appartenenza alle famiglie di origine (che passa anche attraverso un senso di lealtà famigliare) e la separazione dalle stesse, introducendo elementi nuovi che la differenzino.
E come lo fa?
Attraverso un inconsapevole, continuo, delicato sistema di filtraggio in cui selezionare per il proprio bambino informazioni, relazioni parentali/amicali e tutte quelle emozioni e/o comportamenti considerati da loro come adeguati.
Questi formeranno un complesso e specifico sistema di valori che ne definiranno l’appartenenza famigliare, ma l’aspetto forse più divertente è pensare che quello stesso sistema sarà a sua volta rimesso in discussione dal figlio per tutta la vita, alla ricerca di una propria individuazione, separazione e riconoscimento.
PATRIZIA VALENTI
psicologa e psicoterapeuta
sistemico-relazionale,
direttrice STF Studio Terapia Familiare
Contatti: tel. 339.733.47.11 studioterapiafamiliare@gmail.com
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