“Praticare sport in età pediatrica presenta tanti aspetti positivi: assicura un adeguato sviluppo dell’apparato scheletrico e muscolare, regola il metabolismo, favorisce la socializzazione...... e, se praticato nel modo corretto, è un’attività molto piacevole e divertente per i bambini e per i ragazzi” parola di Armando Calzolari, Responsabile Unità operativa complessa di Medicina Cardiorespiratoria e dello Sport - Dipartimento di Medicina Pediatrica - dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, uno degli ospedali di riferimento a livello internazionale per l’assistenza e la ricerca in campo pediatrico.
Sin da piccoli, i nostri figli conducono una vita sedentaria e fare sport permette di acquisire un bagaglio di esperienze motorie che sarà prezioso per tutta la vita. Infatti da grande sarà molto più avvantaggiato rispetto a chi non ha mai praticato attività fisica, perché ha strutturato una muscolatura migliore e ha “sperimentato” e formato il proprio corpo in un’età in cui si sviluppano le cosiddette capacità coordinative, come l’equilibrio e l’orientamento, e le capacità condizionali, ossia la forza, la resistenza e la velocità.
Qual è il risultato? Se anche interromperà per alcuni anni la pratica sportiva, il suo corpo conserverà memoria dei benefici acquisiti da piccolo e quando, da adulto, vorrà riprendere a fare sport o vorrà intraprende uno sport nuovo, avrà già le basi giuste per ripartire alla grande.
Di solito i genitori cominciano a far praticare sport ai propri figli intorno ai tre-sei anni. Vero è però che in questa fascia d’età non c’è molta differenza tra i vari sport, perché in tutti i casi l’approccio è ludico e non si entra nello specifico della disciplina sportiva.
Fino ai sei anni infatti non si può parlare di sport vero e proprio, ma più di esperienza del proprio corpo, in un’età in cui l’individuo è assai ricettivo ad imparare cose nuove.
Solo con il passare degli anni il bambino attraverso la pratica sportiva avrà la possibilità di sviluppare gradualmente le varie capacità fino all’adolescenza, quando certe potenzialità potranno essere perfezionate con l’allenamento e in base al proprio talento individuale (ci sarà chi è più portato verso l’equilibrio, chi verso l’orientamento, chi verso la velocità ecc.). Dopo i sei anni si assiste a un progressivo sviluppo sia del fisico che della capacità di coordinazione dei movimenti, che consente l’approccio a nuove discipline sportive, come per esempio l’atletica leggera o il basket.
Regola di base tuttavia deve continuare ad essere la stessa: l’attività deve consentire lo sviluppo armonico di tutto il corpo. Non ha senso accompagnare i figli al corso e poi lasciarli lì come a un parcheggio per approfittarne a sbrigare le proprie faccende.
Verifichiamo invece che la lezione preveda una preparazione fisica di base (sempre indispensabile, qualunque attività si pratichi), che non sia ripetitiva e noiosa, che il bambino abbia la possibilità di divertirsi e di fare davvero sport.
A qualunque età si incominci a fare sport, la figura dell’istruttore è un punto di riferimento importante per il bambino. Fino ai sei anni il piccolo atleta non ha bisogno di un semplice insegnante, che impartisca delle nozioni tecniche, ma di una sorta di “baby-sitter tecnico” che sappia entrare in empatia con lui, sappia ascoltarlo e riesca a farsi ascoltare.
Ma anche dopo i sei anni, l’istruttore continua a ricoprire un ruolo determinante - a lui spetta il compito di motivare il suo allievo, sostenerlo durante l’allenamento, ma anche interrompere, se è il caso, la lezione per fermarsi a parlare con lui e capire quali difficoltà si possono nascondere dietro eventuali insuccessi. In questo modo si instaura una relazione che va al di là del semplice rapporto tecnico e che alla fine dà i risultati migliori, perché il ragazzo va a fare sport con più piacere e un po’ per volta riesce a tirar fuori il meglio di sé.
Non solo: se si stabilisce un rapporto di fiducia diventa anche più facile far affrontare all’allievo i sacrifici che l’allenamento e l’apprendimento del gesto tecnico comportano.
a cura di Naomi Polselli