«Abbiamo smesso di stimolare la loro immaginazione, di aiutarli a cercare l'orizzonte. La famiglia fatica nella propria funzione autorevole, la scuola è inzuppata di burocrazia e impermeabile al cambiamento».
Da poco uscito in libreria con Prendetevi la luna (Strade Blu, Mondadori), che è anche diventato uno spettacolo itinerante, lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet è abituato ad esser preso - è una iperbole - per matto soprattutto da quei genitori che preferiscono autoassolversi.
“Gli metto in ordine la camera altrimenti rimane sporca”... “Lo aiuto a fare i compiti perché, dopo basket, inglese, musica e arti circensi, ore e ore di tablet, è stanco”... “Gli porgo il mio telefonino tutte le volte che me lo chiede per evitare che si annoi”.
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Con Crepet ne abbiamo discusso spesso: la responsabilità di questa corsa dei ragazzi a voler tutto subito, a pretenderlo si annida nella incapacità dei genitori di dire «no».
Viviamo iperconnessi: gli smartphone sono ormai diventati un'appendice del nostro corpo. Come analizza questa dipendenza, soprattutto nelle nuove generazioni?
«I ragazzi di oggi vivono con il telefonino in mano. Glielo si offre ad età impensabili, sul passeggino addirittura. E glielo si regala sempre più presto, già negli ultimi anni di frequenza della scuola primaria. Basta guardarsi intorno: anche al parco, capita di vederli tutti intorno ad uno smartphone. Così capita che, seppur iperprotetti, con gli occhi dei genitori sempre addosso, anche grazie ai servizi di geolocalizzazione offerti dagli stessi telefonini, si sentano soli».
Cosa si nasconde dietro questo grande paradosso?
«La perdita di autorevolezza delle famiglie. Hanno paura, ma concedono ai figli infiniti spazi di libertà. Dicono sì a tutto, in una sorta di buonismo educativo che poi si ritorcerà contro di loro. Perché i "no" nella vita prima o poi arrivano e non saperli gestire può provocare prima frustrazione poi esplosioni di rabbia. Togliere invece che aggiungere dovrebbe essere la parola d'ordine dell'educare. Iniziate col togliere quel telefonino e proseguite con l'indicare limiti e confini. Non bisogna temere di essere impopolari, i ragazzi hanno bisogno di chiarezza, di una bussola per non sentirsi spaesati, non di messaggi controversi. I freni vanno messi ma si deve anche imparare a non cadere nell'eccesso, diventando punitivi o castranti».
Si parla tanto di educazione digitale. Serve davvero?
«Servono l'esempio, la coerenza e la lungimiranza. La velocità della rete contribuisce ad una sorta di sparizione del futuro, dove tutto è istantaneo, dove gli stessi adulti sono diventati dipendenti della tecnologia, dei social che usano per lanciare critiche, nascosti dietro ad uno schermo, ma anche per lavorare, fare affari. Le nuove tecnologie, però, non cambiano i bisogni dei ragazzi. Il compito delle famiglie è sempre lo stesso: la cura, porre confini, trasmettendo il rispetto per se stessi e gli altri. Essere genitori riguardosi è l'unico esempio che conta e che può essere introiettato e replicato».
Come declinare l'esempio sull'uso del virtuale?
«Cercando di raggiungere il giusto bilanciamento tra i nostri principi e le innumerevoli possibilità offerte dal mondo esterno, che oggi comprende anche il cosiddetto spazio virtuale. Anche all'interno di quel mondo “altro” i ragazzi devono essere accompagnati. Questo è uno dei compiti di un genitore: non lasciarli soli ma offrire, o meglio costruire con loro, gli strumenti per renderli liberi. Non liberi di fare tutto quel che vogliono, ma consapevoli e formati. Solo così saranno in grado di scegliere davvero autonomamente».
ALESSANDRA TESTA
giornalista, direttrice responsabile Rivista Etica "Genitori"
Contatti: redazione@bambiniegenitori.it
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