Scrivere significa raccontare….raccontare storie. Cosi era ai tempi di Omero e così è ancora oggi. Un mestiere antico come il mondo ma sempre affascinante. Vi propongo la “fantasia” di un giovanissimo Daniele, 12 anni, che ama scrivere. Spiccano le descrizioni naturalistiche come quadri di un pittore.
“Sono nato e cresciuto in una famiglia nobile, primogenito sempre accontentato dai miei genitori e spesso al contatto con il sovrano. Vivevo in un castello.
La mia non era una vita normale come quella delle persone che vivevano al di fuori delle grandi mura, era diversa ma io mi sentivo uguale a loro. Una vita da feudatario monotona prima che diventassi maggiorenne. Gli anni passarono e tutto cambiò in un modo assurdo. Tutto accadde con il nuovo Re, un personaggio con un’aria di strano attorno, alto molto alto, con una lunga barba marrone, la sua testa calva e lucida rifletteva il rosso del tramonto e le cicatrici di guerra incidevano i suoi muscoli possenti. Quando passò a controllare il castello vide me. Mi guardò con i suoi occhi verdi quasi ad ipnotizzarmi e solo dopo qualche istante mi parlò, obbligandomi a svolgere per lui un incarico dall’esito molto complicato: fare la spia ad un altro castello.
Arrivò l’alba. Al suono della tromba il portone delle grandi mura si aprì di fronte a me, come le acque a Mosè, e una scia di uomini mi accompagnarono a metà tragitto. Durante il mio cammino un meraviglioso spettacolo naturale si presentò ai miei occhi. Le valli come specchi riflettevano quella stella rossa immensa che il cielo colorava e che come rugiada sul vello affascinava i nostri occhi.
Quando arrivò il giorno senza un minimo di ritardo la natura si risvegliò: i mandorli sembravano sbocciare confetti, i pini come grandi guardie rigide vegliavano il monte innevato, i fiori danzavano al vento impollinando l’aria pulita e il cielo limpido come l’acqua del ruscello alla fonte, ornava il paesaggio. Arrivò il pomeriggio ed io ero con lui al castello nemico. Mi vestii da mercante entrando insieme al corteo che faceva ritorno al castello dopo una festa. La prima cosa che notai era l’immensa torre che con i suoi arcieri vegliava su tutto il territorio circostante. Immensa davvero immensa. Proseguendo vidi affascinato una grande scuderia contenente almeno mille cavalli. La cavalleria dunque e le difese erano i loro punti di forza. Non finii di scriverlo sul taccuino quando i miei occhi brillarono di fronte ad un cannone lancia giavellotto. Però logica vuole che chi ha punti di forza abbia anche punti deboli. La difesa basata su gruppi di soldati con l’arco perché la freccia sparata da grande distanza è lenta e schivabile. Infilai il taccuino di papiro nella mia tasca e correndo me ne andai. Non fu intelligente correre infatti le guardie insospettite mi catturarono. Arrivai dinanzi all’Alta Corte del Castello che voleva condannarmi alla pena di morte per aver violato il castello e aver disonorato lo spirito benigno. Per mia fortuna e senza capire perché decisero di liberarmi. Tornai cosi in patria e appena arrivato al castello un tornado investi la valle circostante inghiottendo tutto al suo passaggio. Giunse la notte. Il mattino seguente il sovrano seppe del mio ritorno e arrivò al castello. Fedele alla promessa gli consegnai il taccuino di papiro. Lesse e uscì una risata malefica. I suoi occhi si erano iniettati di sangue il suo desiderio era diventato realizzabile." •
Daniele, 12 anni, Palestrina (RM)
a cura di
Francesca Cristofari