«Serve un'educazione digitale che fornisca loro il kit di sopravvivenza per non diventare dipendenti, fornendo regole e limiti chiari».
In altre parole, i ragazzi devono capire che «poter essere potenzialmente onnipotenti, non significa necessariamente poter provare tutto».
Il medico e psicoterapeuta dell'età evolutiva, Alberto Pellai, ha lo scomodo compito di mettere in guardia i genitori e di responsabilizzarli sull'uso che i ragazzi fanno del mondo virtuale.
I giovani, ma sempre di più anche gli adulti, vivono costantemente connessi a Internet. Come governare l'utilizzo del mondo digitale?
«Servono strategie cognitive pensate da noi, che dobbiamo essere in grado di chiedere all'ambiente ciò che ci serve. Devo andare a Firenze, in via Verdi? Inserisco il dato nel navigatore e sono io a decidere la mia destinazione. Se, invece, uso il Metaverso perché mi piacerebbe tanto andare alle Maldive ma resto a casa mia seduto sulla sedia, con cuffie e occhialone sul viso, o chiedo a ChatGpt di scrivermi un tema su Alessandro Manzoni allora rischio di scatenare un corto circuito. L'intelligenza artificiale deve essere uno strumento al servizio dell'uomo, non sostituirlo. È questo il pericolo più grosso che corrono i nostri ragazzi».
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Del resto, chi di noi si ricorda i numeri di telefono di amici e familiari? Ma anche il proprio?
«Questa multipotenzialità con un'offerta incredibile di azioni sostitutive inizia purtroppo a soppiantare le nostre capacità cognitive. Finisce che utilizziamo un pensiero già pensato senza renderci conto che siamo noi a poter produrre quel pensiero. Lo strumento potrebbe essere molto vantaggioso se non gli si delegasse anche le funzioni cognitive più elementari: per esempio, la memoria. Proprio come un muscolo, essa va allenata altrimenti appiattisce le sue funzioni. Ricorrendo sempre ad un aiuto esterno, di fatto sto riducendo la mia capacità di essere un costruttore pensante di risposte».
Si può redigere un compendio di regole e definire l'educazione digitale che servirebbe?
«Può essere utile darsi una cornice sulle modalità di utilizzo delle possibilità del virtuale. Il modello può essere quello utilizzato per la televisione, stabilendo un tempo -mezz'ora, un'ora- in cui guardarla. Indipendentemente dallo strumento, dietro ad ogni comportamento la coppia genitoriale dovrebbe avere un modello educativo a cui ispirarsi e che, qualitativamente e quantitativamente, trasmetta la capacità di interazione col mondo circostante. Tradotto: non bisogna educare digitalmente ma avere un progetto per regolamentare la presenza del digitale nella vita dei nostri figli. Vi è poi un secondo step»...
Qual è il secondo step?
«Educare alla consapevolezza di ciò che fai e ciò che sei quando sei dentro al mondo "altro". Bisogna avere in mano tutta una serie di competenze legate al fatto che l'algoritmo si basa anche sul funzionamento della tua famiglia e che è un meccanismo che vorrebbe generare dipendenza. Ai ragazzi va fatta comprendere la linea sottile oltre la quale un comportamento virtuoso può trasformarsi in rischio. L'approccio deve essere forte per aiutarli ad autodeterminarsi. A controllare lo strumento, non essere controllati da esso».
Veniamo alla selezione dei contenuti. Qualche consiglio?
«I genitori devono aiutare i figli a selezionare le informazioni che passano in rete. A partire dalle proposte dei cosiddetti influencer che tanto appeal hanno sulle nuove generazioni».
Anche la scuola deve scendere in campo?
«La scuola si sta già attrezzando, ma la logica deve essere preparatoria a un tempo che verrà, non sdoganare il virtuale. Soprattutto alla scuola primaria, i corsi di formazione in classe devono assomigliare a quelli di educazione stradale: ti do le competenze per muoverti in maniera sicura in strada, ma non ti lancio il messaggio: “Ora vai a casa e guidi il motorino o la macchina”».
Come umanizzare la transizione digitale e preparare i ragazzi al futuro?
«L'importante è aprire loro gli occhi e scindere i contenuti dal marketing. Quale modello di umanesimo vogliamo veicolare? Servono limiti: poter diventare potenzialmente onnipotenti, non significa poter prendersi tutto».
ALESSANDRA TESTA
giornalista, direttrice responsabile Rivista Etica "Genitori"
Contatti: redazione@bambiniegenitori.it
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