Il cibo è spesso individuato come prova del benessere del proprio bambino, sia fisico che psicologico.
Questo è vero: mangiare è uno dei bisogni essenziali per la nostra sopravvivenza, ma è anche espressione del legame affettivo che ogni bambino, fin dall’allattamento, instaura con la figura materna.
Il rapporto che ogni bambino ha con il cibo può variare in base ai gusti, che cambiano man mano che cresce, in base al carattere, alla sua energia vitale - ci sono bimbi più timorosi e controllati ed altri più golosi e mangioni - e in base alle diverse fasi della crescita.
Proprio per questo il cibo può essere qualcosa di gustoso da assimilare con piacere e desiderio, ma anche da rifiutare se ci si sente pieni e se, ancor più semplicemente, non è di proprio gusto. È importante incoraggiare le autonomie del bambino e rispettare i suoi gusti e tempi, che a volte possono non coincidere con i nostri bisogni né tantomeno con le tabelle di crescita.
E quindi largo spazio, quando sono piccolini, a lasciarli giocare con il cibo, mentre vogliono sperimentare e mangiare da soli, mentre noi, con un altro cucchiaio, ci assicuriamo che si nutrano a sufficienza. Questo anche se si sporcano e pasticciano tutto e sprecano, in parte, quanto gli abbiamo preparato: il gioco è sperimentazione e definizione di sé, e se impedisco al bambino di sperimentare, gli impedisco di imparare.
E i pasti, che dovrebbero essere un momento allegro, di attenzione e cura, potrebbero trasformarsi in un momento di nervosismo e tensione.
É semplice condividere la gioia di un bambino che mangia con gusto, ma è altrettanto importante cogliere i suoi gesti di autonomia, quando rifiuta qualcosa che semplicemente non gli piace o quando sta esprimendo un suo bisogno di individuazione. Infatti, nelle fasi della crescita che implicano maggior separazione dalle figure di riferimento, i bambini possono rifiutarsi di mangiare e questo può essere espressione di sentimenti di rabbia o paura, che sono l’altra faccia dell’amore che provano per la propria mamma.
Amore da una parte e paura dall’altra sono sentimenti naturali man mano che i bambini crescono, quando la mamma progressivamente si allontana permettendo ai piccoli di sperimentare le prime autonomie, di confrontarsi con il mondo e fare esperienza di sé.
E in questi momenti è fondamentale che i genitori riescano a non irrigidirsi, a non usare il cibo come ricatto emotivo: “Ma come non ti piace, te l’ha preparato la mamma con tanto amore!”. Questi messaggi di delusione, di rabbia e preoccupazione, rinforzati e ripetuti nel tempo, diventano una sorta di ricatto: quanto il bambino si alimenta diviene misura dell’affettività.
I genitori fanno sempre il meglio che possono e che riescono. Ma a volte, soprattutto a tavola, il rischio di inciampare in qualche “errore” è elevato. È importante essere pronti ad accettare questi rifiuti, a comprendere e aiutare il proprio bambino ad esprimere con il gioco o le parole le emozioni, anche quelle negative.
È importante sdrammatizzare, senza togliere valore al loro sentire, per aiutare i nostri figli a sviluppare la padronanza di sé e ritrovare il desiderio ed il piacere del mangiare e dello stare in relazione.
C’è una stretta relazione tra dimensione nutritiva e dimensione affettiva: il rapporto tra cibo ed emozioni si instaura nelle prime fasi della vita, e mantiene forti valenze psicologiche per tutta la nostra esistenza.
SERENA BALDISSERRI
psicologa, psicoterapeuta
TI È PIACIUTO? Allora, seguici: ti rafforzi!
Vai su Instagram, lascia un 🧡 e partecipa alla Community Etica per famiglie di "Bambini e Genitori" che semplifica il tuo educare.
L'HAI TROVATO UTILE? CONDIVIDILO! 👇 USA I PULSANTI QUI SOTTO