La mediazione fa rima con l’inclusione

Nonostante quanto accade all’esterno e, come sempre, in direzione ostinata e contraria, noi ci ostiniamo a guardare in positivo.

In un momento in cui all’orizzonte non sembra profilarsi neanche una tregua e il conflitto sta esacerbando le difficoltà economiche delle famiglie, mettiamo al centro della nostra riflessione una parola che ai potenti della terra pare sconosciuta: mediazione.

La mediazione che etimologicamente deriva dal latino stare nel mezzo’, è per la Treccani un’azione esercitata da una persona, una nazione, un ente o una collettività, per favorire accordi fra altri o per far superare i contrasti che li dividono. Una forma mentis che noi di Genitori, che da anni ci facciamo accompagnare da esperti d’eccellenza, fra i quali Paolo Crepet, Maria Rita Parsi e Alberto Pellai, proviamo a fare nostra e che, sinceramente, ci fa sentire un po’ a disagio mentre la gente comune è inascoltata nel suo desiderio di pace e schiacciata fra caro energia, inflazione impazzita e salari non all’altezza dei paesi europei con cui l’Italia si fregia di competere.

Mentre già abbiamo iniziato a fare la gimcana fra i centri estivi che ci consentiranno, ancora una volta, di vivere per lavorare in attesa di quelle agognate e sempre più brevi vacanze che molti di noi nemmeno possono garantire ai propri figli, proviamo a veicolare una piccola buona notizia: qualche scuola ha tradotto in ucraino le comunicazioni per includere meglio i nuovi arrivati fuggiti dalla guerra.

A proposito di mediazione culturale

la nostra speranza è che questo sia un primo passo per contrastare il razzismo istituzionale e per rendere la scuola meno ermetica anche per le altre nazionalità di origine straniera rappresentate da decenni fra gli iscritti di scuole per l’infanzia e primarie dove, vista l’età dei bambini, la comunicazione con i genitori è fondamentale.

Citiamo allora una petizione lanciata dal nostro territorio all’inizio dell’anno scolastico dall’associazione Bologna Nidi. La realtà, ideata dalla giornalista Laura Branca nel 2009, ha pubblicato la raccolta di firme su Charge.org avanzando una richiesta non ancora colta dal Miur e dalle istituzioni: "Le scuole pubbliche italiane, di ogni ordine e grado, sono frequentate da tante famiglie di origine straniera. Spesso queste famiglie - si legge nel testo  - parlano poco e male l’italiano e, ancor più spesso, non sanno leggerlo o scriverlo. Per consentire ai più di capire cosa la scuola sta comunicando loro chiediamo che i comunicati e le circolari siano tradotti almeno nelle lingue principali parlate in Italia: cinese, inglese, arabo, spagnolo, come fa già da tempo l’Azienda Usl per comunicare le regole sanitarie."

Ad oggi sono state raccolte circa 3.670 firme. Non sono ancora sufficienti?

ALESSANDRA TESTA
giornalista, direttrice responsabile Rivista Etica "Genitori"

Contatti: redazione@bambiniegenitori.it


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