Mentre attende l'uscita del suo quarantesimo libro, intitolato Il metodo Crepet («che sarà la summa del mio pensiero e raccoglierà qualche idea sull'educare»), lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet bacchetta ancora una volta i genitori di oggi. «Cercano spesso alibi e scappano dalle responsabilità – rivela –, ma hanno anche tanto bisogno di essere incoraggiati».
Il suo consiglio primaverile diventa allora una domanda, tutt'altro che retorica, da porsi con sincerità davanti allo specchio: «Volete figli sorridenti? Iniziate a sorridere un po' anche voi».
La frase che abbiamo scelto come filo rosso per accompagnare questo numero della rivista è una nota affermazione di Walt Disney: «Se puoi sognarlo, puoi farlo». Eppure i genitori sono sempre più impegnati a programmare le giornate dei loro figli, anche quelle dei più piccoli, sottraendo tempo alla loro immaginazione.
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Perché sono così pre-occupati? Cosa sfugge loro?
«Che i bambini sono flessibili, plastici, e che non hanno alcun bisogno di avere un'agenda piena come quella di un amministratore delegato pianificata da altri. Non sono né soldatini di piombo né pre-olimpionici da allenare al successo. Il tempo libero è innanzitutto tempo non organizzato, da trascorrere come preferiscono, anche seduti su una panchina a guardare il cielo o, indovinate, facendo qualcosa insieme a mamma e papà».
Quanto è importante per un bambino giocare con i propri genitori?
«È fondamentale, è l'occasione regina per instaurare un rapporto di consapevole complicità. È necessario, però, che i genitori siano onesti con se stessi e che si dedichino al gioco con disponibilità d'animo e di tempo. Recentemente, ho calcolato di aver risposto a circa 27 mila lettere di genitori. Mi hanno posto migliaia di quesiti, ma anche confessato i loro sensi di colpa più dolorosi. Il più frequente è proprio quello di essere troppo poco presenti nelle giornate dei loro figli. Spesso dimenticano che la presenza non va valutata in minuti, ma in qualità del tempo dedicato. È una questione di approccio e di volontà».
A proposito di approccio, è possibile insegnare ai bambini ad essere ottimisti?
«Se la domanda è "come si fa ad avere figli gioiosi?", la risposta è facilissima: siate voi genitori i primi ad esserlo. La gioia non è una ginnastica da fare controvoglia e non si può pretendere che i bambini diventino improvvisamente allegri. Non si scappa dalle responsabilità, il loro umore dipende anche da noi. Quanto si ascolta e si ride a cena? Quanto lo si fa nel resto della giornata? L'ottimismo non può essere una prescrizione, neanche una catechesi».
Ci fa un esempio pratico?
«Ne propongo uno che potrà sembrare banale. Dopo essersi "beccati" il virus o aver vissuto un lungo periodo di restrizioni, per questi bambini è arrivato il momento di programmare l'estate con mamma e papà. L'estate più bella di sempre. Basta Netflix, accendiamo il computer e usiamolo per altro: scarichiamo cartine geografiche e mappe e decidiamo tutti insieme l'itinerario del prossimo viaggio».
Ha più volte parlato di genitori che cercano alibi e scappano dalle loro responsabilità. Siamo davvero davanti ad una emergenza educativa?
«Non si può certo generalizzare, ma anche l'incapacità di dialogare e, dunque, di educare i propri figli rischia di lasciare sul campo vittime e feriti. Proprio come una guerra. Dovremmo parlare di più con loro, ascoltarli, dedicare il nostro tempo migliore ad attività condivise. E restituire loro il sacrosanto diritto di sognare, di far leva sulla loro forza immaginifica, per riparare ciò che si è incrinato, se si è incrinato, dentro i loro cuori».
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ALESSANDRA TESTA
giornalista, direttrice responsabile Rivista Etica "Genitori"
Contatti: redazione@bambiniegenitori.it
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