Pochi camminando a Bologna sanno di avere sotto i piedi una città d’acqua proprio come Venezia!
Infatti Bologna oltre ad essere attraversata dal torrente Aposa, l’unico corso d’acqua naturale che attraversa la città, fin dal XII secolo possiede anche una fitta rete di canali artificiali derivati, tramite chiuse, dai fiumi Reno e Savena.
Le autostrade del medioevo
Durante il Medioevo le vie d’acqua erano più efficaci ed economiche rispetto a metodi di spostamento via terra. Il sistema dei canali di Bologna fu creato allo scopo di collegare la città con il fiume Po e per fornire acqua ed energia meccanica agli opifici della città.
La rete idrica fu sviluppata tra il XII ed il XVI secolo, a partire dalle chiuse di San Ruffillo e di Casalecchio, rispettivamente sul torrente Savena e sul fiume Reno, resesi necessarie per aumentare il numero dei mulini da grano e per alimentare il fossato della seconda cerchia di mura della città (Cerchia dei Mille).
Queste via d’acqua servivano da mezzo di collegamento e trasporto per il commercio permettendo il transito di grandi quantità di merci, oltre a canalizzare e regolare le acque dei torrenti appenninici.
Ma permetteva anche a Bologna, attraverso le sue autostrade d'acqua, di essere il crocevia di merci che arrivavano da molto lontano, permettendo alla cucina locale di arricchirsi di preziosi sapori e spezie che hanno dato vita a ricette eccelse, riconosciute in tutto il mondo, a cominciare dalla mortadella con i suoi pistacchi. Se vuoi approfondire puoi leggere: "L'Università più antica è nella città del cibo"
Bologna, la piccola Venezia
Anche grazie a queste opere Bologna poté espandersi e competere verso la fine del XIII secolo con le maggiori città europee: con i suoi 60.000 abitanti, Bologna era la quinta città per popolazione (dopo Cordova, Parigi, Venezia e Firenze), al pari con Milano ed era il maggior centro industriale tessile d’Italia.
Questo prosperare permise alle famiglie più ricche di costruire "case-torri" da utilizzare come strumento di offesa ma soprattutto per manifestare il proprio potere, proprio come accade oggi con i grattacieli sparsi per il mondo. Scopri questa affascinate storia leggendo: "Bologna, la New York del 1200"
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L’Aposa entra dal serraglio delle mura di porta S. Mamolo, attraversa il Mercato di Mezzo, ove forniva acqua alle beccherie e alle pescherie, e prosegue in linea retta fino a via del Pallone ove si immette nel canale delle Moline. L’origine di questo nome è decisamente esplicito: anticamente infatti in quel tratto erano concentrati molti mulini ai quali poi si affiancarono altri opifici funzionanti con le ruote idrauliche.
Fino a tutto il '700 l’acqua ha mosso centinaia di attività manifatturiere che venivano svolte negli scantinati e nei piani terra delle case che, sul retro, si affacciavano sui canali e, con le botteghe, sulla via porticata.
Fonte energetica e via di comunicazione l’acqua, dunque, ha caratterizzato, già dal XII secolo, l’ambiente urbano e sostenuto l’economia bolognese. Via via tombato coperto, nascosto quello che è stato il "tesoro" idrico della città, oggi fa la sua ricomparsa, discreta ed episodica sufficiente però a dare un’idea di atmosfere e costumi ormai spariti: alla finestrella di via Piella, che apre la visuale su uno scorcio davvero insolito della Bologna popolare, con case che si affacciano l’una sull’altra, fiori ai balconi e panni stesi.
Questo angolo della città non può non ricordare Venezia e i suoi canali.
La copertura dei canali avvenne progressivamente a partire dagli anni cinquanta, nell’ambito del disegno di ricostruzione, bonifica e riqualificazione urbanistica portata avanti nel Dopoguerra e che interessò tutta la città.
La fontana del Nettuno
Tuttavia l’acqua a Bologna non serviva solo per il commercio ma anche per uno dei simboli della città: la Fontana del Nettuno, adiacente a piazza Maggiore. L’opera, risalente al 1500, fu progettata dall’architetto e pittore palermitano Tommaso Lauretie venne sormontata dalla imponente statua in bronzo del Dio Nettuno (chiamato dai bolognesi il Gigante per via delle sue dimensioni), dello scultore fiammingo Jean de Boulogne, detto il Giambologna.
L’alimentazione idrica della fontana, che conta ben 90 zampilli, avvenne con la costruzione dell’opera di captazione della cisterna di Valverde, posta sulle prime pendici del colle dell’Osservanza, impropriamente nota come Bagni di Marioe potenziata ristrutturando l’antica fonte Remonda, ancora funzionante, che si trova sotto la chiesa di San Michele in Bosco. Inizialmente si supponeva che fosse un centro termale di epoca romana; invece è di epoca rinascimentale (1563) e venne realizzata dallo stesso Laureti per alimentare la Fontana del Nettuno. Egli creò una grande cisterna, composta da un’ampia vasca sotterranea a pianta ottagonale, coperta da una cupola aperta per permettere l’aereazione e due entrate per la manutenzione.
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Un sistema idraulico unico al mondo
La captazione delle acque era assicurata da una serie di cunicoli scavati nel fianco del colle; la raccolta avveniva per mezzo di vasche, poste in successione, nelle quali l’acqua veniva convogliata per eliminare le impurità sabbiose che conteneva. In questo modo entrava nel condotto che la portava poi, passando per una serie di altri manufatti idraulici posti più a valle, alla fonte cittadina. Sotto la Piazza del Nettuno nel 1564 furono sistemati i tubi di piombo con i relativi organi di regolazione, che alimentavano di acqua tutti gli elementi scultorei.
Questo sistema idrologico è unico al mondo e permise non solo al papato di avere acqua pura proveniente da valle fin dal XVI secolo, ma anche di evitare a moltissime persone l’epidemia di colera che nel XIX secolo uccise migliaia di persone poichè l’acqua che arrivava con questo sistema era abbondante e soprattutto pulita.
di SARA DALL’ACQUA
Guida Turistica autorizzata dell’Emilia Romagna ed Accompagnatrice Turistica sul territorio nazionale
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